Quando sopraggiunge un gran dolore c’è solo una cosa da fare: osservare tutti i modi in la mente s’affanna per dargli un nome, per rinchiuderlo in un’etichetta, per narrarlo in una storia. La “tua” storia. Che poi è la mia, la sua, la loro, la storia di tutti.
Un dolore è solo un nome così come lo è la paura, la tristezza, l’angoscia.
C’è una cosa che abbiamo imparato a fare molto bene nella sperimentazione del dolore: identificarci con esso esprimendo giudizi a oltranza su quanto, in fondo, “non sia giusto che la vita abbia scelto proprio noi”, “proprio adesso”, “proprio mentre eravamo impegnati nel dipingere scenari diversi”. Il punto è proprio questo: comprendere che a creare quello che avvertiamo come stato di sofferenza non è il dolore emotivo in sè ma quel continuo frapporci con l’esistenza dichiarando (anche solo inconsciamente) come le cose avrebbero dovuto essere anzichè “stare con le cose”, con le esperienze, così come si manifestano sul piano fisico. Tra la realtà e la sua idealizzazione lasciamo il comando sempre e solo a lei, la mente che ribellandosi, rifiuta di accettare quel movimento, quella corrente di pura energia.
Ma tu, ricordati di te. Di te che sei il vuoto che ogni manifestazione accoglie. Lo spazio in cui tutto il dolore appare per attraversarti, non per restare.
Il dolore è una carica elettrica. Un movimento energetico che ti ricorda che sei la vita che si sta manifestando qui, proprio ora.Tu, semplicemente, lasciala fare e come per magia ti sentirai che sei la tela su cui puoi pennellare ogni singolo colore.
Nell’atto stesso di accorgerti della presenza della tristezza, in realtà stai già riconoscendo che il tuo Sé autentico è più grande della tristezza. Jeff Foster
Quando sopraggiunge un dolore potresti chiederti che fine hanno fatto tutti i tuoi mille mila corsi di crescita personale con quel ventaglio di tecniche take away pronte all’uso che un tempo ti sorprendevano gasato a mille come ad aver scoperto l’elisir di sempiterna beatitudine. Ti ritrovi sgusciato e senza punti di riferimento, depauperato di quelle che un tempo consideravi granitiche certezze e che ora sembrano liquefarsi sotto il tuo sguardo attonito e spaventato.
Facciamo un esempio:
Se chiudi accidentalmente la tua mano nella porta, la tua parte fisica soffre, prova un dolore autentico ma neutro fintanto che la mente non si “mette in mezzo” a colorarlo di altre sfumature : la psiche si spaventa, immagina un pericolo e lo rende reale: il tuo prossimo avanzare verso quella porta sarà vissuto nella memoria del pericolo che hai giù registrato. Semplice. Proverai una sottile tensione, strumentale a renderti vigile ma cosa succede quando oltre a questo la tua mente continua a spingersi oltre preconfezionando scenari apocalittici che ti allontanano dal momento presente?
Ora prova a passare in rassegna tutte quelle situazioni in cui il tuo corpo ha provato un dolore registrandolo nella memoria cellulare come un trauma: quanti kg di ansietà e tensione puoi aver sperimentato ?
Per il corpo emotivo la situazione è la stessa. Se il tuo partner ti lascia all’improvviso, se lo scovi con un’altra persona o se una persona a te cara s’ammala nel peggiore dei modi, se il tuo quattro zampe ti prepara alla dipartita, se il datore di lavoro ti licenzia nel periodo più tosto della tua vita non c’è via che tenga: tu stai male. Stai male da morire.
E stai male nella carne, male nei visceri. Lo sa bene il tuo stomaco, lo sa bene quella testa che ti scoppia, lo sa bene quel tuo sguardo che ad ogni ora perde sempre più luce.
A star male è il tuo corpo emotivo e di riflesso, quello fisico che compartecipa alla danza del dolore. Nel tuo inconscio imperversano voci che si chiedono perchè proprio a te, perchè proprio ora, in un continuo separarti dalla realtà che adesso ti vuole così, presente a quel che si manifesta. Ma tu non ci stai. La tua personalità si rifiuta di esserci e così s’avvampa in quelle fiamme che hai imparato a chiamare “sofferenza”. Ma quel fuoco che dall’interno arde non è lì a caso. E’ lì per attraversarti, per bruciarti dall’interno, per trasformarti.
Le difficoltà e le malattie contengono sempre una lezione. Le esperienze dolorose non hanno lo scopo di distruggerci, ma quello di bruciare le nostre scorie, di esortarci a ritornare a Casa. Nessuno più di Dio desidera la nostra liberazione. Yogananda
Qual è dunque la strada?
Siediti a tavolino con il dolore. Conoscilo come si fa con quegli sconosciuti con cui non sempre serve parlare.
Osservalo, attentamente. Se ti serve fagli pure quelle domande a cui ancora una volta non seguirà una risposta.
Fidanzati con quel dolore. Anche se t’hanno detto che non è il migliore dei compagni per una persona così solare come te. Di quelle che devono arrivare prime, risultare performanti e sempre sul pezzo.
Fai l’amore con il tuo dolore e perditi in quelle braccia il cui richiamo rifuggi da una vita intera, non sia mai che t si veda piegato in due, stremato dalle lacrime, in apnea dal peso che s’è adagiato comodo sul petto che di respirare non ne vuol sapere più.
E non ti illudere di poter continuare a lungo con quegli xanax perchè lui tornerà ed urlerà arrabbiato per tutte le volte in cui ti sei rifiutato di ascoltarlo.
E allora tu ricorda che sei “la casa”. Quella che da quando sei venuto sulla terra ha accolto mille volti. Quelli che hai chiamato amici e quelli che hai scoperto nemici. Quelli che hai redento e quelli che hai maledetto. Quelli con cui hai ballato la gioia di vivere e quelli con cui hai pianto le lacrime amare.
la sofferenza, in sostanza, è dimenticare la tua natura autentica, il tuo essere la vastità della stanza, dello spazio che abbraccia ogni cosa in esso contenuto; è identificarsi con qualcosa di molto più piccolo di te. Jeff Foster
Tu sei la casa che profuma di caffè e nuovi progetti al mattino e quella su cui cala il sipario la sera.
Tu sei le stanze che si riempiono di robe da stirare e che il giorno dopo brillano di ordine e igienizzante sui pavimenti.
Tu sei la casa in cui si rincorrono voci ed urla e in qui si può morire dal fragore del silenzio dopo un lutto improvviso.
Ma la casa non può dire alle lacrime di non entrare e alla gioia di permanere per sempre. La casa, semplicemente è, a dispetto di tutto quel che può contenere.
Tu sei la casa, con tutte quelle stanze in cui per qualche tempo si ferma la tristezza e si distende la paura ma non ne sei invischiato. Mentre diventi consapevole di tutti i tuoi moti interiori ecco che puoi contenerli e se puoi farlo, ti scopri infinitamente più grande di loro. Credo che sia solo questa l’essenza della meditazione: siamo lo spazio in cui si muovono i pensieri e le sensazioni, siamo la stanza in cui appare un momento di frustrazione. Lo accogliamo, lo conteniamo. Lo trattiamo come un’ospite che talvolta può trasformarsi un inquilino prezioso. E quando la sua permanenza sarà terminata lo saluteremo con la consapevolezza di chi congedandosi non ha perso nulla perchè in quella condivisione di spazi ha trasformato se stesso.
Ritorna a te, ritorna a Casa.