Carnevale, tempo di maschere, coriandoli e feste.

Ma siamo proprio sicuri di indossarle solo in questo periodo dell’anno?

Mi viene in mente la locuzione latina “Semel in anno licet insanire” riportata da Sant’Agostino nel suo De civitate Dei : una volta all’anno è lecito impazzire“.

Io credo che quella della follia sia invece la nostra dimensione quotidiana, in cui più o meno consapevolmente ci ritroviamo ad indossare maschere con cui crediamo di osservare il mondo da esseri umani “liberi” e soprattutto “oggettivi” nelle proprie interpretazioni.

La nostra condizione è quella della meccanicità: ci muoviamo nel mondo come burattini pronti ad elargire dichiarazioni a destra e a manca. facciamo qualche esempio:

  • io sono spirituale
  • io sono una persona coerente
  • io sono di destra/sinistra
  • io sono ambientalista/pacifista/vegetariano/carnivoro/social-anti-social/anticonformista/schietto/
  • io sono fatto così, io ho il senso della giustizia, io non sono assolutamente pro/contro

e potremmo continuare all’infinito.

Ma cosa succede quando di fronte a tanto coraggiose affermazioni gli altri replicano con critica, scherno, dissenso e in generale in un modo che sovverte completamente ogni nostra aspettativa? Succede che ci fa male. E succede perchè  qualcuno o qualcosa ha picchiato forte su quella maschera con cui ci illudiamo di proteggere la ferita che nessuno deve vedere ma su cui chissà perchè, noi per primi continuiamo a cospargere sale.  E guai a chi minaccia di scoprirla: ci arrabbiamo, ci incattiviamo. La difendiamo con le unghia e con i denti. Ci chiudiamo a riccio. Ce la prendiamo con il mondo intero quando sarebbe infinitamente più produttivo fermarsi ad osservare attentamente il processo.

Perchè sì, le maschere offrono uno straordinario spunto di lavoro su di sé: lavorare in  presenza significa allenarsi a leggere tra le infinite trame di quel che accade ogni santo giorno per scovare tutti quei passaggi che ci sorprendono a re-agire meccanici e con emozioni completamente in subbuglio di fronte a ciò che fa cascare la maschera che indossiamo.

Maschere che ho buttato in un canto

ora per ora

per salvare il mio cuore

maschere che hanno lacrime dipinte

e un fiore sempre verde nel labbro

maschere che hanno fumato i miei limiti

che hanno tenuto in bocca le mie sigarette

o maschera gigante

che hai coperto il mio volto

per dieci lunghissimi anni

e che non hai mai riso

nessuno mi identificherà mai

in questo grande teatro che è la vita

perché anche se vengo a vederti

e piango nel mio cuore

ti porto una maschera di solarità.

Alda Merini

Ora, chiariamo una cosa: ad indossare una maschera non è certo la tua Anima quanto piuttosto la tua personalità che di tutta probabilità porta il segno di una qualche ferita emotiva  che il tuo bambino interiore conosce molto bene.

Lo sapevano molto bene gli antichi greci per i quali la personalità era l’equivalente della maschera e il teatro nasceva proprio con lo scopo di portare in scena attraverso di essa, tutte le sue infinite rappresentazioni.

Ma quando si formano le ferite e perchè sono collegate alle maschere?

Tutti noi siamo stati feriti da qualcuno, nel corso della nostra esistenza ma spesso sottovalutiamo o ignoriamo che le ferite che abbiamo subito sono attive ancora oggi nella misura in cui compromettono la nostra maturità emotiva di persone adulte e inibiscono la nostra piena realizzazione.

Lise Borbeau ne ha identificate cinque:

  1. la ferita del rifiuto 
  2. la ferita d’abbandono 
  3. la ferita dell’umiliazione 
  4. la ferita del tradimento 
  5. la ferita dell’ingiustizia

Chi può provocarcele? Chiunque: dall’insegnante inconsapevole al genitore. Dal bidello di scuola al parente più stretto.

Il punto è che le ferite fanno un male cane tanto al bambino quanto all’adulto che se le trascina ancora. Ecco che l’adozione di una maschera rappresenta proprio la risposta adattiva che il nostro bambino interiore trova per provare a proteggersi da quel dolore e per sopravvivergli al meglio delle sue potenzialità. Una vera e propria strategia di difesa inscenata da un personaggio che ha nel corpo, nel linguaggio e nell’affettività delle caratteristiche specifiche.

Per ciascuna ferita infatti, le probabili maschere di riferimento sono:

  1. a ferita del rifiuto →  maschera da fuggitivo
  2. la ferita d’abbandono →  maschera da dipendente 
  3. la ferita dell’umiliazione →  maschera da masochista
  4. la ferita del tradimento  → maschera da controllo 
  5. la ferita dell’ingiustizia  → la maschera del rigido

Dov’è la buona notizia?

Le ferite e le relative maschere sono evolutive e potenzialmente veicolo dell’espressione dei tuoi talenti. 

Esempio: se nell’infanzia non ti sei sentito accolt*, vist*, amat*, potresti ricercare questa forma di appagamento nel tuo capo in ufficio che guarda caso, ti darà filo da torcere: da lui difficilmente arriverà una promozione, una nota di merito, uno scatto di carriera. Perchè? Perchè la ferita richiama a sè tutti quegli accadimenti, fatti e persone che risuonano con l’emozione del non riconoscimento ovvero si crea una risonanza tra il tuo non esserti sentit* riconosciut* da piccol* e l’evento esterno attuale, cioè il capo per il quale non è mai abbastanza.

Non servirà da parte tua imprecare (se ti serve fallo allo sfinimento ma poi, vai oltre) contro un “mondo crudele” per il quale tu non vai mai bene ma prendere coscienza di avere una ferita e prendertene cura. Giuro che ti conviene perchè è proprio passandoci attraverso che potrai sperimentare la strada dei talenti che sei venut* a manifestare. In questo senso, la ferita è evolutiva: è lì per te, non di certo contro te.

  • riconosci la tua ferita e dopo aver ceduto all’immancabile “perchè proprio a me?” passa oltre: smettila di colpevolizzare tua madre, tuo padre e il prof di turno e passa oltre.  Non ha molto senso provare a distrarti dal sentire il dolore che ci passa attraverso. Fugarlo è il miglior modo per cucirtelo addosso come fosse il vestito per la vita. Lo vuoi davvero?

Esercizio pratico: di fronte al capo, al partner o all’amico da cui mi sento rifiutato, tradito, umiliato, abbandonato, attivo uno stato di presenza –  percepisco l’emozione che mi sta attraversando e mi sforzo di non commentarla nè giudicarla e mi ripeto: ora non ho occhi per vedere quel che sto vivendo ma questa persona è qui per mostrarmi qualcosa di me. Resto presente e mi concedo di farne esperienza.

  • allenati a questo atto di fede: la vita è qui per prendersi cura della tua ferita, il prossimo passo è smetterla di identificarti con quel che hai vissuto e con il copione che hai recitato. Smascherare il falso giochetto della personalità che ti vuole arrabbiato di fronte all’amore che ti è mancato equivale a togliersi la maschera e sentire che la via dell’Anima è l’unica che può mostrarci la strada .  Accetta di essere tremendamente bisognoso d’Amore e chiediti in quale direzione lo stai cercando. Probabilmente devi solo abbassare lo sguardo e posarlo sul petto.
  • Muovi i primi passi per diventare genitore di te stesso. Se vuoi approfondire, ne parlo qui .

Se pensi che le riflessioni contenute in questo articolo possano essere utili a qualcuno, inoltraglielo pure o condividilo sui social. Se invece hai voglia di schiarirti dubbi o raccontarmi la tua esperienza con le maschere di questo gran Carnevale che è la vita, scrivimi pure, sarò felice di fare due chiacchiere con te! Ecco dove puoi farlo: contattami.