Scopro che oggi ricorre l’anniversario del giorno di laurea ed ecco che mi viene la curiosità di recuperare il testo della tesi.
Non ricordo neanche quanti anni sono trascorsi ma una cosa è certa: non avevo mai collegato il significato più profondo, la traccia intenzionale e visionaria che ne era alla base con quella che oggi muove gran parte di ciò che trasmetto.
Titolo della tesi: La costruzione del consenso attraverso i media: aspetti sociologici ed epistemologici. Ho sorriso e provato gioia nel realizzare che la vita accade nonostante noi e non grazie alle nostre intromissioni di personalità come spesso ci piace credere.
 
Rileggendo parte dei capitoli ho respirato quell’anelito a mettere sempre tutto in discussione, iniziando dalle idee cristallizzate con cui infarcivo l’intera mia esistenza.
 
Quello slancio non mi ha mai abbandonato, tutt’altro: è per me quella base imprescindibile senza cui non si potrà mai approcciare un lavoro su di sè.
 
Ed è peraltro la ragione per cui quando qualcuno mi scrive: “certo che ci vuole coraggio ad esporsi anche su temi che non riguardano la propria crescita interiore e per questo ti ammiro” non posso che sorridere e ringraziare. Chi me lo scrive infatti , inconsapevolmente, riflette su di me la stessa qualità di trasparenza e autenticità che gli appartiene ma ad un’ottava bassa, ragion per cui non l’ha mai ri-conosciuta e di conseguenza, manifestata.
 
Il punto è uno e uno solo: Se si pensa davvero di poter separare “ciò che succede là fuori” dal lavoro interiore allora è vivamente consigliato lasciar perdere a priori ogni idea di lavoro su di sè. 
 
Nella migliore delle ipotesi, possiamo continuare a rimpinzarci di tecniche su come vestirci di leadership e “comportamenti vincenti” (fedelmente smascherati dall’attitudine a ruggire sulle tastiere dello smartphone) salvo poi incarnare davvero le qualità del guerriero quando è richiesto o continuare a perseguire l’immagine di un risveglio che è puro desiderio della mente giacchè lo stesso accade, punto. Potresti realizzarlo in questa vita, ma anche no.
 
Lanciare un’occhiata fuori dalla Matrix non può essere confinato ad una pratica del dietro le quinte (là dove non ci può toccare nessuno e dunque possiamo sonnecchiare più sereni) illudendoci di poter fare davvero distinzione tra ciò che accade nel mondo e ciò che si sta manifestando proprio qui ed ora dentro di me.
 

Del resto, questo è il minimo che possa accadere quando non si ha la minima idea di quali leggi governano i nostri corpi (fisico, mentale ed emotivo). Non siamo affatto diversi da una macchina, uno strumento che non conosciamo neanche un po’ ed è questa la ragione per la quale viviamo di continue reazioni: burattini che camminano.Se non sappiamo come funzioniamo e quali meccanismi entrano in gioco nel nostro quotidiano non possiamo affermare di conoscerci appieno. In questo senso non siamo tanto diversi da una macchina, che per sua natura è meccanica e vive di reazioni, non di azioni.

Le qualità del matto e lavoro su di sè

Tra gli arcani maggiori dei tarocchi c’è una carta che amo particolarmente ed è quella del Matto: si tratta di un arcano che ci parla molto di alcune qualità imprescindibili prima di approcciare un lavoro su di sè. La sua infatti non è banalmente “pazzia” , ma un impulso irrefrenabile a mettersi in viaggio senza se e senza per realizzare la meta più ambita: sentirsi libero anche quando attorno è costrizione. Per farlo, l’indole ad “uscir fuori dagli schemi” si dimostra essere una conditio sine qua non di tale realizzazione.
Mai si potrà uscire da una prigione usando le stesse chiavi che ci hanno imbrigliati lì dentro.
Se solo penso a quante volte negli anni mi sono sentita una fuori di testa: oggi sorrido e ringrazio ogni singolo anelito di follia dentro di me perché mi ha portato esattamente là dove la stessa è qualità imprescindibile per potersi realmente mettere a servizio e realizzare quello che pur essendo a disposizione di tutti NON può essere realizzato da tutti. Da questa immensa verità, non si scappa, ma io non devo convincervi. Se vi fidate del vuoto, lui stesso, quando sarete pronti, vi parlerà. Occorre discernimento, una immensa dose di umiltà e qualità vibratorie specifiche per realizzare che “il sé”, “essere anima” , morte dell’ego e mille e cinquecento altre espressioni appannaggio della spiritualità 2.0 sono (spesso blaterate a casaccio e la maggior parte delle volte da chi non le ha mai realizzate) non sono nozioni, non sono informazioni. Possono solo essere realizzazioni, veri e propri stati di grazia. Questo di per sè è già sufficiente per replicare alla domanda delle domande: ” eh ma io in queste cose non ci credo”. E menomale rispondo io. Chi mai vi ha chiesto di crederci? Qui è richiesto esattamente ciò che in pochi hanno il coraggio di realizzarlo dentro: VIVERLO.
Dunque qual è il primo passo per lavorare su di sè? Mi piace esprimerlo con un’altra domanda:
puoi essere così spudoratamente umile da mettere in conto che non contano i “successi che puoi aver raggiunto, gli obiettivi, i riconoscimenti”, non conta affatto ciò che puoi aver studiato e a suon di seminari collezionato: potresti non aver mai realizzato che nel mentre vivevi tutto questo , tu, non c’eri. Sì lo si, respiravi, studiavi, progettavi ma di fatto, non c’eri.
Per esempio in questo momento, sei cosciente del respiro che ti sta attraversando?
Non prendermi in giro, magari “ora ci hai pensato” perchè lo hai letto, ma prima, dov’eri?
Quante volte ci sei stato nella tua vita?
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