“Floriana, sento la terra che trema sotto i piedi. Ti ricordi quando all’inizio della quarantena t’ho detto che ero quasi felice di fermarmi per così tanto tempo? beh,
adesso che ci avviciniamo alla fine mi sta salendo l’ansia alle stelle, cosa posso fare?”
Serena, la chiamerò con un nome di fantasia per proteggere la sua privacy, mi scrive questo ieri sera. Sorrido e incasso. Già, più che accolgo, incasso. Perchè parole come le sue, in queste ore, sono più che ridondanti e il loro eco, rimbomba forte, anche dentro di me.
Chè non è vero che tutti si ha una gran voglia di “ricominciare” soprattutto quando il verbo si fa riflessivo declinando in un ri-cominciarsi, come individui in primis e poi come lavoratori occupati, disoccupati, mogli, madri, partner – accoppiati, scoppiati, disperati, annullati. 
Qualcuno la chiama devastazione da quarantena: chi ha perso il lavoro e chi ha sentito forte e chiara l’urgenza di un radicale cambio,  chi ha ritrovato il partner di un tempo, e chi dopo un forte schiaffo ha mollato quello “collaudato” , chi ha riabbracciato virtualmente un amico e chi ha realizzato quanto dura sarebbe perderlo. E poi ancora chi ” tagliamo questi rami secchi ” e chi “potiamo nuovi alberi”.
Che la si consideri maledizione o benedizione, quella della quarantena ha certamente i connotati di una gran trasformazione. Un’immensa occasione di risveglio, una di quelle che rievocano l’immagine del treno che adesso passa e dopo non si sa ma una cosa è certa:   chi resta fuori vivrà una dimensione parallela ma completamente diversa nel modo di percepire quella che comunemente chiamiamo “realtà“.
Ma siamo sicuri di saper riconoscere la realtà? Tutto il lavoro di risveglio si basa sull’ammissione di non avere occhi per poterla riconoscere: da qui la necessità di lavorare all’interno così da conquistare nuovi occhi con cui poter distinguere ciò che è reale  da ciò che non lo è. 
Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia. C. G. Jung
Quella che siamo soliti definire “realtà ” infatti è una sorta di pellicola filmica di come processiamo le immagini del mondo al nostro interno: ciascuno con il proprio impianto visivo, auditivo, cinestesico.
Dal punto di vista spirituale, quello che stiamo vivendo ha una sua piena legittimità ed funzionalità evolutiva. Detto in altre parole, ci serve. 
E ci serve proprio nella misura in cui il gioco di luci ed ombre si fa intenso al tal punto da offuscarci la vista e portarci letteralmente a sbandare, perdere i riferimenti, perderci. Il tutto nello sfondo di un’allucinazione collettiva che ha una finalità ben precisa: la speciazione. La creazione di un nuovo mondo.
Eh no, non sono pronostici, maledizioni o previsioni. Il gioco delle forze oscure ( intese come forme pensiero altamente tossiche, si pensi all’odio, alla rabbia, alla paura, alla gelosia, all’invidia) è sempre stato questo: tenerci imprigionati in una grande illusione.
Con un brivido lungo la schiena il mio pensiero corre agli anni del liceo in cui grazie al mio amatissimo prof di filosofia m’innamorai del mito platonico della caverna senza lontanamente immaginare quanto di immenso aiuto sarebbe stato oggi.
Nel VII libro de La Repubblica, Platone ricorre all’allegoria della caverna per descrivere lo stato dell’uomo: un prigioniero incatenato in fondo ad una caverna costretto a guardare verso il fondo della caverna stessa. Alle sue spalle un fuoco acceso al di sopra di un muretto divampa illuminando con la sua fiamma l’interno e  proiettando le ombre della realtà esterna sul fondo della caverna. Gli uomini incatenati guardano queste ombre come se fossero l’unica realtà conosciuta e conoscibile. Del resto, I prigionieri sono lì da quando sono nati e questa è l’unica realtà manifesta per loro, l’unica che abbiano mai conosciuto.
Se l’uomo riuscisse (anche con l’aiuto dei compagni ) a evadere dalla caverna, spiega Platone, saprebbe la verità comprendendo il gioco delle luci e dell’oscurità mentre fino ad allora era fermamente convinto che l’unica realtà possibile fosse quella descritta dalle ombre proiettate sul fondo della caverna.
Il prigioniero che riesce ad uscire dalla caverna è l’uomo nuovo. L’uomo che  illuminato dalla luce abbagliante del sole all’inizio sente quasi di non reggerla, di averne paura. E’ quello che accade a chi, in un percorso di conoscenza di sè inizia a vedere ciò che gli altri non vedono . Si sente solo, spaesato, che quasi sarebbe più comodo tornare della caverna. Ma la vista del Sole, “della luce” è un richiamo troppo forte per l’Anima che sceglie di proseguire con il suo cammino per quanto duro e doloroso. Ed ecco che quell’uomo,  mosso da compassione verso i suoi simili ancora incatenati nella caverna, accetta di tornar dentro (scelta non facile per lui che si è ormai disabituato all’oscurità)  ma stavolta con un fine diverso: condividere con i compagni la gioia, la bellezza e la libertà della scoperta fatta. Ma una volta dentro sarà da loro deriso, ripudiato, giudicato d’essere un visionario, un pazzo che vede “creature di luce”.
Con o senza mascherina uscir di casa è uscire da una provvidenziale caverna.
Chi seguirà la luce?
Chi invece non abbastanza assuefatto all’oscurità ne sentirà la mancanza al tal punto da ricacciarsi nella tana dell’illusione?

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