Uno dei meccanismi più tangibili durante un lavoro sistemico famigliare riguarda la manifestazione dell’archetipo del martire spesso impersonato da un figlio che prende su di sé, letteralmente la croce genitoriale e dell’albero genealogico nella sua interezza.
Quando subiamo un trauma, a protezione della sofferenza sperimentata potremmo indossare senza neanche rendercene conto una maschera che mistifica tutto il dolore, la rabbia e l’abuso sperimentato nell’infanzia/adolescenza solo che lo abbiamo dimenticato.
Nella mia esperienza professionale a contatto con tantissime persone, ho potuto constatare che un detrattore di questo profondo lavoro di introspezione è rappresentato dalla falsa credenza di non aver vissuto “nulla di ché” tale da giustificare in età adulta una qualche forma di malessere o frustrazione.
Sbagliato.
Ferite da iper-controllo, dinamiche abbandoniche o da rifiuto non hanno necessariamente a che vedere con manifestazioni di personalità violente, urla, schiamazzi o scene da film dove il bambino o l’adolescente che siamo stati viene scaraventato a calci fuori dalla casa paterna.
Le forme di abbandono e trascuratezza hanno spesso a che fare con i movimenti emotivi della nostra struttura di personalità.
In breve: se io genitore non ho idea di cosa significhi padroneggiare le mareggiate emozionali dentro di me sarà molto difficile trasmetterlo a mio figlio.
Perchè non sono “un bravo genitore”?
Tutt’altro. Semplicemente, non mi conosco e di nulla che sia passato dalla mia carne io posso essere esempio.
La verità è semplice, ma in nome di una morale stucchevole e narcisista spesso manifesto di un amore che tutto è fuorchè senza condizioni , ci perdiamo in un bicchier d’acqua trasformandoci a nostra volta in adulti che in realtà non sono altro che bambini irrequieti , capricciosi e infinitamente mendicanti d’amore.
Questa elemosina affettiva è spesso alla base di relazioni sentimentali tossiche e disturbate, amicizie basate su puro bisogno e interesse, partnership lavorative competitive e cariche di gelosia e invidia, rapporti parentali che si trascinano logori nella circostanza e così via, va trattata alla stegua di una malattia (quella da cui in tantissimi siamo affetti) :
Quella malattia si chiama V u o t o d i A m o r e.
Come la singola foglia non ingiallisce
senza che ne abbia muta conoscenza l’intero albero,
così colui che erra non può far torto
senza una segreta volontà di voi tutti.
E quando uno di voi cade, cade per quelli che lo seguono,
quasi un avvertimento contro l’inciampo.
Si, e cade per quelli che lo precedono,
i quali benché fossero di passo più celere e sicuro,
non rimossero tuttavia l’intralcio.
Kahlil Gibran, Il Profeta
Per approfondire l’origine più profonda di questi meccanismi può essere utile sapere che all’interno del sistema famiglia vige una sequenza temporale dell’appartenenza: chi è arrivato prima all’interno del sistema è più grande di chi è arrivato dopo, e dunque “ha più diritto” di chi viene dopo.
E’ un dato di fatto che l’individuo per sé stesso non si realizza in quanto singolo, ma sempre formando parte di un sistema o gruppo. Come in ogni sistema, anche nella famiglia d’origine di ogni individuo, esiste un ordine ed un equilibrio che garantiscono la sopravvivenza di tutti coloro che ne fanno parte. Il sistema famiglia è governato da una serie di ordini, tra cui quelli “dell’amore”.
Secondo questa logica, i genitori sono più grandi dei figli e in un certo senso hanno precedenza rispetto ad essi così come il fratello maggiore “viene prima” di quelli minori.
Garantire un sano funzionamento del sistema passa dal rispetto di questi ordini in quanto chi viene dopo (pensiamo ad un figlio) , in teoria, non è in grado di sostenere il peso delle responsabilità e la sofferenza di chi viene prima.
Cosa succede se qualcuno infrange l’ordine all’interno della famiglia?
A livello superficiale è possibile che l’evento non venga percepito o recepito nella sua importanza o, nella maggioranza dei casi, dimenticato. Ma una cosa è certa: l’informazione ad esso associata non può mai essere slegata dal sistema che della stessa viene permeato dal di dentro.
Nel momento in cui un figlio si carica del dolore del padre o della madre, si fa più grande di loro, prendendo un posto in un livello gerarchico del sistema che non gli appartiene.
Il compito di riportare equilibrio nel sistema e di ristabilire l’ordine all’interno della famiglia spetterà ad un membro della generazione successiva.
Bert Hellinger, psicoetrapeuta e scrittore tedesco, uno dei massimi esponenti del lavoro terapeutico delle costellazioni familiari, le chiamava le pecore nere della famiglia.